venerdì 31 agosto 2007

Budapest, Sziget Festival- parte I

L'arrivo a Budapest non è stato incoraggiante.
Sapevo già di dover aspettare per 5 ore in aeroporto, prima che arrivassero le altre, e mi ero attrezzata per benino con tutto...parole crociate, spuntino, libro.
Poi mi sono addormentata e non ho fatto niente di quello che pensavo, ma il tempo è passato lo stesso.
Pure troppo. A circa mezzora dall'arrivo delle socie, mi accorgo che l'aeroporto di Budapest ha 2 Terminal ben distinti, che stanno a 10 Km di distanza l'uno dall'altro.
E io ero al DUE mentre, ovviamente, le altre stavano atterrando all' UNO. Panico e disperazione. (Sì, ok, razionalmente ora sembra cosa da niente, ma sul momento una traggedia).
Ok. Calma, respira. “Nononononono cosa faccioooo??”
Prima cosa: sei senza soldi. Vado a prelevare e sempre in preda al panico sbaglio completamente i calcoli del cambio. Praticamente mi prosciugo il conto in banca trasferendolo sottoforma di fiorini ungheresi nel mio panciuto portafoglio. Vabbè, starò attenta a non perderli….me li infilerò nel reggiseno. Un po' di volume, male non mi fa, anzi.
Seconda cosa: sei appiedata, sei una fifona e hai la gonna troppo corta per fare l’autostop. Ok, un mezzo di trasporto. Chiedo informazioni. C'è un autobus, e poi un autobus, e poi un altro autobus. Ottimo, ma sono le 11 di sera, è pieno di personaggi loschi, sono stra-nervosa e non un briciolo di tempo per aspettare l’autobus. Crepi l'avarizia, prendo un taxi.
Così mi alleggerisco le tasche e in un batter d'occhio sono al Terminal 1. Giusto il tempo di ricompormi, e accolgo le mie socie con un sorrisone rilassato e l'aria indifferente quasi annoiata di chi, uf, è 5 ore che aspetta.

Ok. Per esserci ci siamo, e ora?
Ora facciamo una bella corsa cercando di prendere l’ultimo autobus della serata che ci porti fino in città. Bene.
Passiamo per la periferia più desolata e malfamata di Budapest, insieme ad altri poveracci con zaino e occhiaie al seguito, poi finalmente raggiungiamo il centro.
E perché? Perché la prima notte si passerà in ostello, e l’ostello è in pieno centro….uauuuuu.
Sì, e nella via più trafficata calda e movimentata di Budapest, praticamente non chiudiamo occhio. Tralasciando il materasso con i buchi, le lenzuola corte, l’uomo nudo russante e il particolare dello scarafaggio sulla spalla (indovinate di chi?), il posto è confortevole, piccolo ma carino. Praticamente è un appartamento all’interno di un normale condominio, 2 bagni, una cucina, 3 stanze con i letti a castello e una saletta comune. La mattina ce ne andiamo in fretta, non ci gustiamo nemmeno quella che sarà l’unica colazione normale di tutta la settimana, con caffè, pane burro e marmellata.

Sotto il sole e cariche come muli, dopo qualche chilometro a piedi, 2 autobus, 1 metropolitana e 1 trenino, arriviamo finalmente all’ISOLA.
Oooohhh.

Una fiumana di gente nelle nostre stesse condizioni è già in coda, probabilmente da ore, per farsi registrare ed entrare. Ok, ormai ci siamo, l’ultimo sforzo.
Altro sole, altri solchi nelle spalle, ma finalmente….l’ambito braccialetto è nostro!! Siamo dentro!!
Foto di rito all’ingresso, altra coda per farsi controllare il bagaglio (omaccioni brutti e cattivi ci hanno palpato lo zaino da cima a fondo), altri chilomentri a piedi per cercare un bel posticino per la tenda.
Momento drammatico, si sa, questa è La Scelta… Eccheccavolo ci devo passare tutta la settimana!
Qui c’è troppo sole, qui c’è troppo passaggio, qui siamo lontani dai bagni, qui troppo vicine al palco, qui sono tutti francesi, qui ci sono troppi italiani, qui siamo distanti da tutto, qui siamo troppo vicine alla riva, qui la mattina fa caldo, qui c’è troppa luce, qui no senti che puzza, qui…QUI.
Prese dallo sfinimento ci fermiamo proprio lì. In mezzo al bosco, circondate da francesi, in un posto irraggiungibile la sera senza una pila, con la terra che diventa fango se cadono due gocce d’acqua, lontane anni luce dall’acqua e dai bagni. Ma siamo sfinite, sudate e sull’orlo di una crisi, quindi LI’ è perfetto. Montiamo la tenda, e nonostante sia un momento che può mettere a dura prova l’affiatamento di chiunque, devo dire che ce la caviamo bene, poi sono anni che faccio campeggi con una delle due, quindi su tante piccole paranoie ci intendiamo a meraviglia (prima si punta il sotto, tiramelo bene, il sopra me lo fissi con dei “fiocchetti” non con i nodi, il fiocchetto in cima spetta a me, il picchetto me lo tieni obliquo non verticale, la stuoia bene sotto se no si sfila,…).
Fiùùù è fatta. Non ci resta che andare alla conquista dell’Isola… Passiamo allora il resto del pomeriggio come tre bambine nel Paese dei Balocchi, curiosando a destra e sinistra dicendo solo “Ooohh, guarda lì!!...E quello cos’è? Guarda che capeeelli!! Beeelle le bancarelleee!! Ma cosa sono questi?? Si mangiano?? ... Qui stasera torniamo…si si poi andiamo lì…Assaggiamo questo…poi un giorno dobbiamo provare quello… Nooo va che roba!!” Si insomma ci mancava solo lo zucchero filato in mano. Ma avevamo la birra!
E poi, altra classica del primo giorno, si fa “il programmino”. Gasate come non mai decidiamo che abbiamo energie da vendere e vogliamo vedere Tutto, provare Tutto, essere Ovunque e Sempre. Perfetto, quindi si decide che ci si alza sempre presto, la mattina e il primo pomeriggio si vede la città, si ritorna sull’Isola verso le 16 e si bazzica tra i concerti fino a notte fonda. Massì, tanto siamo gggiovani.
Non serviva un genio per capire che il nostro “programmino” fosse un tantino pesante, e poi si sa, quello che si decide il primo giorno alla fine viene rivisto, capovolto, demolito e rifatto un milione di volte… e così è stato. Magicamente siamo riuscite lo stesso a fare e vedere quello che ci interessava e, cosa fondamentale, senza farci stressare l’anima da una tabella di marcia.
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